Ready Player One: viaggio nella fantasia digitale

Ready Player One: viaggio nella fantasia digitale

In occasione del suo rilascio su Sky cinema e su Infinity, ecco la nostra recensione di Ready Player One, film-puzzle di citazioni metaculturali firmato Steven Spielberg.

Ready Player OneNel 2045 il mondo reale è un luogo ostile. Funestato da guerre, povertà e crisi energetiche, il nostro pianeta è una casa barcollante in precaria stabilità. Riflesso esacerbato e iperbolico dello zeitgeist che domina i nostri tempi, nel mondo di  Ready Player One per sentirsi veramente vivi ed estraniarsi dalla realtà non serve andare al cinema, ma basta immergersi nella realtà virtuale di OASIS. «Posto in cui il limite della realtà è la tua immaginazione» OASIS estende il proprio nome e da porto sicuro per la fantasia dei protagonisti diventa mezzo ipertrofico della loro mente.

Un nascondiglio in cui rifugiarsi per essere chi si vuole veramente essere. Un mondo alternativo creato da James Halliday, alter-ego finzionale di un altro creatore: Steven Spielberg. Il regista, perennemente in bilico tra mondi fantastici (E.T, Hook – Capitano Uncino, Tin Tin) e pagine di storia intrise di drammi e disperazione (Munich, Shindler’s List, Salvate il soldato Ryan) è un dio-fabbricante dell’immaginario collettivo. Dietro la sua mente c’è un lascito di creature, citazioni, universi fantastici lasciati in eredità a intere generazioni. La fantasia non ha limiti di tempo e spazio e quella di Spielberg è una fucina in continua espansione, proprio come espanso è il mondo di OASIS, incunabolo dell’immaginario transmediale e specchio riflettente composto da mille e più schermi davanti a cui abbiamo pianto, giocato, sognato.

La creatura di Halliday (Mark Rylance) e di cui il protagonista del film, Wade Watts (Tye Sheridan) conosce ogni segreto, non è solo una possibile evoluzione dell’universo videoludico, quanto un mondo fatto di possibilità e riscatto.
Metafora del cinema non più come morte in azione, ma fantasia al lavoro, gli ambienti di Ready Player One si strutturano sull’importanza di easter egg – collegamenti intertestuali con pietre miliari della settima arte – che lo spettatore cerca, scova, riconosce reduplicando le azioni di Wade sullo schermo. Una caccia al tesoro che coinvolge il pubblico nel suo sviluppo diegetico intensificando così ogni punto di svolta e colmando qualche battuta di arresto dal punto di vista della sceneggiatura.

Seppur non raggiungendo gli altissimi livelli del comparto visivo, la storia vanta un buon ritmo e ogni passaggio è sottolineato emotivamente da una colonna sonora composta da Alan Silvestri perfettamente in armonia con quanto scorre sullo schermo. La parabola narrativa segue il percorso tracciato dai coming of age anni ’80 (non a caso si cita John Hughes) senza dimenticare i grandi classici della fantascienza (Ritorno al futuro, Star Wars). Ne consegue un universo in cui il postmoderno incontra la favola Disney e il passato di ogni singolo spettatore viene costantemente riesumato mettendolo in contatto con il proprio fanciullo interiore.

Ready Player One è molto più che una riduzione cinematografica del best-seller di  Ernest Cline. È un affresco dipinto con i colori della tecnologia e sfumato da un desiderio di escapismo tipico della nostra epoca. Un viaggio dell’eroe che incapsula perfettamente la natura dicotomica e schizofrenica del suo autore cinematografico.

Ready Player One non è la prigione claustrofobica di Matrix, e nemmeno la condanna tecnologica prevista dai primi Black Mirror o dagli switching endindgs di The Twilight Zone; il film di Spielberg è piuttosto una luce di rivalsa che risplende alla fine di un tunnel e per questo maggiormente paragonabile a un episodio come “San Junipero” (Black Mirror, 3×04). Un puzzle costruito con minuziosa attenzione da Spielberg in cui ogni tessera combacia con il background personale di questo regista. Le citazioni e i riferimenti diventano di tutti senza per questo perdere la loro personale aura, la quale continua a risplendere fulgida più che mai, alimentata dal riconoscimento e condivisione dell’immaginario con il proprio spettatore.

Elisa Torsiello

Condividi questo post


Close Popup

Utilizziamo i cookie per le funzionalità fondamentali del sito e per assicurarti la migliore esperienza. Il sito utilizza cookie di terze parti per statistiche anonime di utilizzo. Se desideri sapere di più sui cookie che utilizziamo e su come gestirli, puoi accedere alla Cookie Policy

Close Popup
Privacy Settings saved!
Impostazioni

Quando visiti un sito Web, esso può archiviare o recuperare informazioni sul tuo browser, principalmente sotto forma di cookies. Controlla qui i tuoi servizi di cookie personali.

Questi cookie sono necessari per il funzionamento del sito Web e non possono essere disattivati nei nostri sistemi.

Cookie tecnici
Per utilizzare questo sito Web utilizziamo i seguenti cookie tecnicamente necessari:
  • wordpress_test_cookie
  • wordpress_logged_in_
  • wordpress_sec
  • pll_language
  • _pk_id.1.54e7
  • _pk_ses.1.54e7
  • PHPSESSID
  • wordpress_gdpr_allowed_services
  • wordpress_gdpr_cookies_allowed
  • wordpress_gdpr_cookies_declined
  • wp-settings
  • wp-settings-time
  • matomo_opt_out
  • _grecaptcha

Rifiuta tutti i Servizi
Save
Accetta tutti i Servizi