Chesil Beach: lasciarsi tra le onde

Chesil Beach: lasciarsi tra le onde

L’amore unisce le persone, ma a volte può separarle per sempre. Figli legittimi della mente creativa di Ian McEwan, Florence ed Edward tornano ad amarsi, soffrire, abbracciarsi e allontanarsi grazie a Dominic Cooke e il suo adattamento di Chesil Beach.

Chesil BeachI ragazzi che si amano si baciano in piedi contro le porte della notte” scriveva Jacques Prevert. Ma Florence ed Edward non si baciano a Chesil Beach. Di fronte alle onde del mare urlano, si attaccano, si allontanano. Perché Florence ed Edward non sono dei giovani come gli altri, ma creature nate dalla mente di Ian McEwan, e per questo condannate, sin dalla loro nascita sulla pagina, a un destino infelice, doloroso e illuminato da pochi – seppur intensi – barlumi di felicità.

Tratto dall’omonimo libro del romanziere inglese, il film vede al centro della propria storia la ricca e ambiziosa violinista Florence (Saoirse Ronan) e il modesto e promettente storico Edward (Billy Howle). Per quano i due siano pervasi da un amore vero e profondo, ben presto si riveleranno come prigionieri dei tabù di un’epoca e delle convenzioni familiari e sociali nell’Inghilterra dei primi anni 60. Sarà la loro prima notte di nozze il Vaso di Pandora da cui si libereranno tutte quelle differenze sociali e culturali che i due non sembrano essere in grado di affrontare.

La vita dei neo-sposi dovrebbe essere un cielo terso e limpido, di un azzurro accecante come il vestito di Florence. Un azzurro, che dietro il suo presunto simbolo di lealtà, ideale e buona comunicazione, nasconde una verità opposta. È tutto ribaltato nel mondo creato da McEwan. La ragazza è sì leale, ma verso un sentimento che ella stessa non sa – o non vuole – comprendere. Chiusi (o per meglio dire “nascosti”) in una camera d’albergo, i dialoghi intrattenuti dai due giovani innamorati per rimandare sempre più la loro unione carnale, sono giocati su continui campi e controcampi. Una scelta registica, questa, che se da una parte vuole rimandare a un senso dominante di intimità, dall’altra sembra porre delle distanze di sicurezza tra Edward e Florence.

Impacciati e ignari l’uno del corpo dell’altra, il distacco fisico tra i due viene reduplicato da quella verbale, fatto di reiterati “ricordi?” rimandanti a un tempo, così vicino eppure cosi sentimentalmente lontano, tradotto sullo schermo da flashback colorati, accesi, giocati su una fotografia calda e avvolgente. I salti all’indietro, alla ricerca di quei momenti spensierati in cui l’amore germogliava e cresceva, sono giocati su inquadrature ad ampio respiro e inglobanti i due protagonisti senza che la presenza dell’uno escluda quella dell’altra. Uno sguardo ampio e bucolico che contrasta con quello del presente, ristretto e quasi claustrofobico. Una ripresa vicina, asfissiante tanto quanto l’aria che manca a Florence, sopraffatta dall’insicurezza che nemmeno la musica di Bach, o Mozart (di cui si arricchisce la colonna sonora e che, secondo recenti studi, risulta “ansiolitica” e quindi rilassante) riesce a calmare. Così come la regia, anche i vestiti della ragazza demarcano un taglio netto e opposto alle emozioni del tempo presente; sono abiti in armonia con il paesaggio circostante, ma allo stesso tempo sono abiti “parlanti” perché alludono in silenzio alla tempesta emotiva che squarcia l’animo di Florence. Il vestito che le avvolge il corpo, giallo come i campi in sottoChesil Beachfondo, il fiore che le porge Edward, e il sole che illumina i suoi giorni di giovane fidanzata, lascerà ben presto spazio a quell’azzurro intenso delle onde che bagnano  come lacrime un amore destinato a svanire. Una dicotomia caldo-freddo che dalla stoffa di un vestito si allarga verso un amore appena sbocciato e uno appena appassito per un atto sessuale sempre ottusamente procrastinato. Reduplicando perfettamente la struttura narrativa dell’omonimo libro da cui è tratto, il film di Dominic Cooke  gioca su tre livelli temporali ben distinguibili e facenti quasi eco al grande capolavoro dell’autore inglese: Espiazione. Ad occupare la maggior parte dell’intreccio è una corsa sfrenata in cui il passato dei due giovani innamorati lascia il testimone a un presente in cui i dubbi e le incertezze circa il proprio destino irrompono con forza investendo come un’onda il letto matrimoniale di Florence ed Edward. Sarà poi un epilogo dolce e amaro, come quelli a cui McEwan ci ha abituato,  ambientato in un futuro così lontano dai fatti raccontati fino a quel momento, a dare lo scossone finale e rendere giustizia a un romanzo non così semplice da trasporre sullo schermo.

Il mare di Chesil Beach, con le sue onde, cancella le impronti lasciate dagli amanti sulla spiaggia, nel corso di una camminata che è anche ricerca di una felicità ben presto perduta. Come i bambini che giocano sulla battigia, cauti nel non farsi toccare da quei moti pericolosi, trascinanti verso un fondo oscuro da cui sono inevitabilmente attratti, cosi Florence ed Edward si avvicinano l’uno all’altra sullo sfondo di Chesil Beach, attratti dal corpo dell’altro, ma impauriti dal lasciarsi toccare. “Voglio renderti felice, ma penso di essere una delusione. Tu ti avvicini sempre più, mentre io arretro sempre più” affermerà a tal proposito Florence. Siamo nelle fasi finali del film. Una ripresa dal basso coglie i due giovani nel climax narrativo. È una ripresa che richiama a sé i personaggi, perché è così che si sentono entrambi: a terra. Sfiniti, disillusi, umiliati, i due ragazzi sono diventati grandi. Chesil Beach diventa così non solo la cornice perfetta per tale mutamento, ma anche e soprattutto il teatro della tragedia personale di Florence. I sassi della scena del litigio sono un palco scricchiolante; le onde del mare un sipario poco rumoroso e cullante. In scena solo un resti di una barca in cui Florence, per un gioco di prospettive, sembra essere seduta in modo trionfale. Una prossemica che denota la voglia di scappare da un mondo, quello del sesso, che non intende scoprire e dominare. Una Lady of Shallott moderna, che lascia al mare le pene di un amore destinato a non essere più corrisposto. La presenza in scena della barca, però, è interpretabile anche come il simbolo della tempesta interiore che l’ha colta nelle ultime ore e che l’ha lasciata a pezzi, proprio come il pezzo di legno che l’affianca. È una tempesta che ha colpito il suo cuore, distruggendolo e fatto a pezzi parola, dopo parola. Accusa dopo accusa.  Perché tutto nel teatro della vita diventa simbolo di qualcos’altro. Un collage simulacrale che il cinema di Crooke – sostenuto dalle parole di McEwan – ha saputo potenziare e ben raccontare attraverso il dramma di Chesil Beach.

Elisa Torsiello

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